lunedì 26 aprile 2010

ROMA, ROMA MIA, nun te fa incantà, tu sei nata GRANDE e GRANDE hai da restà...




finché avrò sangue nelle vene e fiato in gola, c'è solo l'AS ROMA. Orgoglio e vanto per i colori della mia città. SEMPRE!

1 commento:

Anonimo ha detto...

Noi non ti lasceremo mai. No, non succederà. Neanche adesso che il sogno è finito. Non lo dice la matematica, non lo dice la classifica. Ma lo dicono gli occhi dei sessantamila dell’Olimpico che lasciano lo stadio come raramente è successo. Tristi, delusi, parecchi «incazzati neri» per la direzione di Damato. «Abbiamo perso la partita giocata meglio nell’ultimo mese e mezzo», sentenzia Mirko. E non ha torto. Mentre lo dice la Sud canta ancora. Il resto dello stadio è ammutolito. Perché fa male. E tanto. Anche se, comunque, il campionato della Roma è e resterà – se li ricordino sempre i protagonisti di questa cavalcata straordinaria – fantastico. Tutti lo ribadiscono. Carla, ad esempio, ci tiene a dire: «Non eravamo attrezzati per arrivare fino qui, me ce l’abbiamo fatta. E comunque abbiamo vissuto un sogno. Il risveglio è brutto, fa male, stanotte non chiuderemo occhio. Ma non si può non battere le mani a questi ragazzi e a questo allenatore».

Ed è proprio così che finisce. Il derby è distante solo sette giorni, sembrano mille. Anche una settimana fa gli occhi erano lucidi. Un signore sulla cinquantina si asciuga le lacrime col fazzoletto. Alle 22:35 la Sud canta il coro più bello, quello più triste. Quello più romanista. “Che sarà sarà…”. «Noi semo così, ci saremo sempre». Via sms a Luca arriva la notizia che Sky inquadra Mexes in lacrime. Accanto a lui Cassetti. Chiede conferma a un’amica. Poi risponde:«Mai piangere, perché siamo della Roma. E ci rialzeremo, come sempre». Stavolta però è più difficile. Il sogno termina ufficialmente alle 22:40 «e chi se ne frega se siamo ancora in corsa, non ce lo faranno vincere mai», al termine di un minuto esatto di applausi. Poi esplode la

contestazione “buffone, bufone”, rivolta a «Mino Damato, che tornasse a fa il presentatore». Ma è un attimo. Ripartono gli applausi. Si vede Cassano che abbraccia Totti in lacrime e poi si denuda prima di tornare negli spogliatoi. Ma

nessuno se lo fila, tanto per citare il coro di serata. Un papà prende in braccio il figlio, in Mon- te Mario. Avrà non più di tre anni. Piange. «Papà, io volevo vincere stasera». Accanto a lui passa una coppia di giapponesi. Fa foto. Non capisce.
Nessuno, se non è romanista, potrà mai capire cosa è stato stanotte. Potranno spiegarlo gli occhi di Mexes e quelli di De Rossi, potrà spiegarlo, forse, il cuore di Totti. Che è rimasto sull’erba dell’Olimpico. Si torna a casa. Chi da solo, chi

in compagnia. Non è notte da solitudine, questa. Ma è notte da romanisti. Perché, comunque vada, «noi non ti lasceremo mai>>. Mai.